Mi pare che tutto sia partito dal Museum Of Modern Art di New York.
MOMA ci hanno detto che si chiamava ad un certo punto, e poteva suonare anche attraente. Anzi, era proprio piacevole, un’idea azzeccata. Chiamare una grande istituzione della cultura mondiale con un nomignolo da cartone animato la rende familiare, induce a provare affetto per l’arte ed il suo ambiente, che ne esce svecchiato e scrollato di molte ragnatele.
Però poi la faccenda è dilagata ed hanno cominciato ad esagerare.
Questa ostinazione di andare tutti dietro al primo che dice “bau!”, di appecoronarsi alla vulgata senza un minimo di pudore, non la capirò mai. Cosa c’è infatti di più bello che venirsene fuori con trovate originali, metterci un po’ della propria fantasia, dire una cosa nuova nel modo che non è mai stata detta da nessuno?
Invece no. Dal MOMA in poi, basta che uno, per dire, esponga ad asciugare il suo guardaroba di mutande d’epoca appese al filo tirato sul vicolo, che subito sente ardere dentro il sacro fuoco dell’acronimo.
E il MAK (Österreichisches Museum für angewandte Kunst - Vienna), e il MACRO (Museo dell’Arte Contemporanea – Roma), e il MART (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto)…EKKEKKAZZ!!!
Roba che vorrei essere un facoltoso mecenate col pallino dell’arte solo per il gusto di creare la FART, Fondazione delle Arie Retro Trombeggiate.
Ma non sono né mecenate né facoltoso, così, molto più modestamente, mi accontento di interrogare l’oracolo di blogspot e sentire se almeno lui sa dirmi se gli acronimi museali alla fine mi piacciono o no.
Il mio museo si chiama DIGRE, Dispensario Iperrealista Gravido di Retrogusti Esterofili, ed ha sede ad Harkinve, nella profonda Scandinavia bergamasca.
Vi espongono regolarmente artisti del calibro dell’elvetico Frinesi, il noto vedutista di discariche rigorosamente contestate dai comitati civici; scultori della levatura di un Gyehombr, oriundo veneto-teutonico, padre della corrente dell’Umbratilismo (movimento di pensiero che propugna il credo della creazione plastica all’ombra delle frasche di un noce geneticamente modificato, traendo ispirazione dalla lieve brezza espettorata dai suoi stessi rami); e ancora, fotografi di classe superiore come il peruviano Pedboron, celebrato in tutte le permanenti del mondo per la sua collezione di scatti dedicati alla fuggevolezza esistenziale degli sputacchi di lama.
Addirittura il DIGRE è fucina di nuove forme d’arte: qui infatti, nel lontano 15 gennaio 2009 (alle ore 11 e 30), è stata iniziata la decennale tradizione del diaring, pratica dello spionaggio artistico senza finalità morbose dei diari intimi di casalinghe eroticamente insoddisfatte e bramose.
Al DIRGE è stato ospitato inoltre per otto mesi filati il Nosist, la più grande fra le “Opere inesistenti” concepite dal prozio del "Surrenalismo", Anzoac Decully, iniziatore del movimento del “metterlo in” (com’è “pro-memoriato” vagamente anche dal suo cognome). Questo movimento annovera fra i propri fondamentali comandamenti artistici il gabbare bellamente il pubblico. Classico effetto estetico suscitato nello spettatore che si avvicina a questa corrente (che dalla parte del pubblico è comunemente tradotta in “prenderlo in”) è il sentimento del pinfeut, antica parola dialettale eschimese che tradotta in idioma partenopeo sta a significare: “…pure 'sctà vòta manné fottute…”.
Alla fine, dopo la cura blogspot, vi dirò, non ci ho capito molto più di prima sui musei e sui loro acronimi. E così “…rimango nel dubbio, che lì si sta bene”, come diceva il saggio Fecab, capostipite del nobile popolo degli Sluenanc.
By gillipixel
4 commenti:
ti sfogasti direi.... :-)
ehehehee...avevo degli arretrati di follia :-)
l'immagine è bellissima :-)
Grazie Farly...sì, sì, ora è decisamente meglio della precedente rozzata :-)
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