giovedì 19 febbraio 2009

Nel regnino piccolino

Nel fatato regno di Hyogiu, la vita scorreva serena fra diminutivi e paroline vezzeggiate.
Da quando al trono era salita la regina Comellin, era invalsa nel linguaggio comune la pratica dell’Ebowine, che imponeva come atto di somma creanza il ridurre tutti i vocaboli nel loro formato ridotto, in segno di cortesia dimostrata all’interlocutore e a tutti coloro che si trovassero nei paraggi.
Capitava ad esempio che messer Sestedop incontrasse per la via madamigella Blubcour ed a lei così si rivolgesse:
“Buongiornino, signorina carinina, dove ve ne andate a zonzino di bellino?”
“Oh, messerino gentilino, mi reco al fornino a far provvistine di pagnottine e filoncini: vorreste accompagnarmi per un pezzettino di stradina?”.
Oppure ancora, allorquando l’operaio Prialsin, indaffarato di lavoro sull’impalcatura, si ritrovava a mancare la capocchia del chiodo andando a centrare altro ben più sensibile obiettivo, ecco come lo potevi sentire declamare:
“Oh perdincino, che sbadatino sono mai io: mi sono dato una martellatina piccina sull’unghietta del ditoncino polliciosino…ora mi verrà un pochino nerina, ma chi se ne importina?”.
Così dunque risuonava lieta l’aria nel regno di Hyogiu, tutta pervasa di parole rimpicciolite e graziosette.
Fino al fatale giorno in cui la regina Comellin si apprestava a ricevere i quattro ambasciatori del regno di Unnin, attesi a corte per un confronto di convenevoli diminuiti.
I paggi di corte chiesero alla regina:
“Sua Maestina Meravigliosina, quanto tempino dovranno attendere gli ambasciatorini nell’anticamerina, prima di poter accedere al vostro appartamentino regalino?”.
“Dal momentino esattino che udrò la campanellina annunciare il loro ingressino, fateli attendere giusto giustino un quarto d’orina”, diede disposizione la regina.
I paggi capirono che quell’espressione indicasse i due ottavi del tempo necessario a fare una pipì, ossia proprio un attimo brevissimo, e non un banalissimo "quarto d'ora", come invece la regina voleva far intendere. E infatti, giunti gli ambasciatori, suonare il campanello di annuncio e spalancare la porta dell’appartamento della regina, furono un tutt’uno.
Ironia della sorte volle che l’imprevisto ingresso cogliesse la regina Comellin giusto giusto assisa sul regio pitale: “Paggiacci porcacci delle mie saccocce”, sbottò la nobildonna intenta alla regale minzione, “Non avete capito una minchiaccia di nulla…portatemi almeno la cartaccia igienica dei miei stivali che è pure finita, porcaccia la vaccaccia boiona!!!”.
E fu così che la pratica dell’Ebowine venne lasciata perdere e tutti ripresero a parlare come mangiavano.

By gillipixel


4 commenti:

farlocca farlocchissima ha detto...

mannaggina che bella favolina :-) qui le paroline ci stavano benino benino :-D

Gillipixel ha detto...

ehehehehe :-) son contentino, Farlocchina, che ti sia piaciutina...ma proprio moltino moltino :-)

Anonimo ha detto...

ahahhahahahhahahha bellissimo
rosalux

Gillipixel ha detto...

evvivina evvivina, oh dolce Rosellina :-) son lietino e gaudiosetto che con sorrisin tu abbia letto :-)) ahahahaa